giovedì 14 febbraio 2013

Seti. Che cosa è?

SETI, acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), è un progetto dedicato alla ricerca della vita, e della vita intelligente in particolare, nel cosmo. Il progetto è condotto dal SETI Institute, un'organizzazione scientifica privata, senza scopi di lucro.

Il SETI Institute ha a disposizione una parte del tempo di osservazione del radiotelescopio di Arecibo, in Porto Rico.

Introduzione

Un viaggio interstellare per visitare un'altra civiltà in un mondo distante sarebbe affascinante, ma per adesso è oltre le attuali possibilità tecnologiche della civiltà umana. Siamo però in grado di utilizzare ricevitori molto sensibili per cercare nel cielo segnali radio di origine artificiale, generati da civiltà non umane.

SETI è un progetto molto ambizioso e difficile: la nostra galassia, la Via Lattea, è grande 100.000 anni luce e ha una massa compresa fra i cento e i duecento miliardi di masse solari. Considerando che la dimensione media delle stelle è di 0,5 masse solari, essa potrebbe contenere anche oltre trecento miliardi di stelle: per questo, scandagliare l'intero cielo alla ricerca di un segnale distante e debole è un compito arduo.

Ci sono alcune strategie, o meglio alcune ipotesi plausibili, che possono aiutare a ridimensionare il problema, rendendolo abbastanza piccolo da essere affrontabile. Una è di assumere che la maggioranza delle forme di vita della galassia siano basate sulla chimica del carbonio, come avviene per gli organismi viventi terrestri. È possibile basare la vita su altri elementi, ma il carbonio è noto per la sua peculiare capacità di legarsi a numerosi altri elementi (oltre che a sé stesso) per formare una gran varietà di molecole.

Anche la presenza di acqua liquida è un'ipotesi plausibile, perché è una molecola molto comune nell'Universo e fornisce un ambiente eccellente per la formazione di complicate molecole basate sul carbonio, dalle quali poi può avere origine la vita.

Una terza ipotesi è quella di concentrarsi su stelle simili al Sole: le stelle molto grandi hanno vite molto brevi, e secondo l'esempio che abbiamo a disposizione (la vita sulla Terra) non ci sarebbe il tempo materiale perché possa svilupparsi una vita intelligente sui loro pianeti. Le stelle molto piccole sono invece longeve, ma producono così poca luce e calore che i loro pianeti dovrebbero essere molto vicini per non congelare. Il risultato probabile è che il pianeta finirebbe bloccato in rotazione sincrona (come la Luna con la Terra), presentando sempre la stessa faccia alla sua stella. Un emisfero sarebbe quindi infuocato, mentre l'altro perennemente congelato.

Circa il 10% delle stelle della nostra galassia sono simili al Sole, e ci sono circa mille di queste stelle entro una distanza di 100 anni luce da noi. Queste stelle sono i candidati principali per la ricerca. Attualmente conosciamo però un solo pianeta su cui la vita si è sviluppata, il nostro. Non abbiamo ancora modo di sapere se le ipotesi siano corrette oppure no. La ricerca dovrà quindi occuparsi anche delle stelle escluse, anche se con priorità minore.

Scandagliare l'intero cielo è già un'operazione difficile di per sé, ma si deve anche considerare la complicazione di dover sintonizzare il ricevitore sulla frequenza giusta, esattamente come si fa cercando una stazione radio. Anche in questo caso per restringere il campo d'indagine si può ragionevolmente presupporre che il segnale venga trasmesso su una banda stretta, perché sarebbe altrimenti molto dispendioso per chi lo trasmette. Questo significa però che per ogni punto del cielo occorre provare a captare tutte le possibili frequenze che arrivano ai nostri ricevitori.

Inoltre c'è anche il problema che non sappiamo cosa cercare: non abbiamo idea di come un segnale alieno possa essere modulato, né di come i dati verranno codificati nel segnale, né di che tipo di dati aspettarci. Segnali a banda stretta molto più forti del rumore di fondo e di intensità costante sono ovviamente buoni candidati, e se essi mostrano uno schema regolare e complesso di impulsi sono probabilmente artificiali.

Sono stati condotti degli studi su come mandare un segnale che possa essere decifrato facilmente, ma non c'è modo di conoscere l'effettiva validità di questi studi, e decifrare un segnale reale potrebbe essere molto difficile.

C'è anche un altro problema nell'ascolto di segnali radio interstellari. I rumori di fondo del cosmo e degli strumenti di ricezione ci impediscono di rilevare segnali meno intesi di una soglia minima. Affinché noi possiamo riuscire a captare segnali di una civiltà aliena distante 100 anni luce che stia trasmettendo "omnidirezionalmente", ovvero simultaneamente in tutte le direzioni, quella civiltà dovrebbe utilizzare una potenza di trasmissione equivalente a una diverse migliaia di volte superiore a quella che siamo in grado oggi di produrre sulla Terra.

La trasmissione di un segnale che viaggi lungo una direzione ben definita rende i requisiti di potenza ragionevoli, il problema diventa però quello di avere abbastanza fortuna da trovarsi lungo la direzione del raggio. Un raggio siffatto sarebbe comunque molto difficile da captare, non solo perché sarebbe molto stretto, ma anche perché potrebbe venire bloccato da nubi di polvere interstellare o distorto per effetti di diffrazione, come accade in alcuni casi nelle immagini TV, in cui compaiono echi "fantasma". Tali echi si producono quando parte del segnale rimbalza contro un ostacolo - una montagna, ad esempio - e parte giunge invece direttamente all'antenna ricevente; il televisore riceve quindi due segnali separati da un ritardo.

Le comunicazioni interstellari potrebbero venire distorte in modo analogo, producendo effetti di disturbo che vanno ad oscurare il segnale. Se i segnali interstellari venissero trasmessi come stretti raggi focalizzati, non potremmo fare altro che prestare molta attenzione.

I moderni progetti di SETI sono iniziati con un articolo scritto dai fisici Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, pubblicato dalla stampa scientifica nel 1959. Cocconi e Morrison ivi sostenevano che le frequenze di trasmissione migliori per le comunicazioni interstellari fossero quelle tra 1 e 10 gigahertz.

Al di sotto di 1 gigahertz, la radiazione di sincrotrone emessa dagli elettroni in movimento nei campi magnetici delle galassie tende a coprire le altre sorgenti radio. Sopra i 10 gigahertz si ha invece l'interferenza dovuta al rumore prodotto dalle molecole di acqua e dagli atomi di ossigeno della nostra atmosfera. Anche se mondi alieni avessero atmosfere molto diverse, effetti di rumore quantico rendono difficile costruire apparecchi riceventi capaci di operare a frequenze superiori ai 100 gigahertz.

L'estremità inferiore di questa "finestra di microonde" è particolarmente adatta per le comunicazioni, dato che a frequenze inferiori è generalmente più semplice produrre e ricevere segnali. Le frequenze più basse sono inoltre preferibili a causa dell'effetto Doppler osservabile a causa dei moti planetari.

L'effetto Doppler è una modificazione della frequenza di un segnale a causa del moto relativo della sua sorgente. Se la sorgente si avvicina, il segnale risulta spostato a frequenze più alte, se la sorgente si allontana il segnale risulta spostato a frequenze più basse. La rotazione di un pianeta e la sua rivoluzione attorno ad una stella causano spostamenti Doppler nella frequenza di ogni segnale generato dal pianeta, nel corso di una giornata la frequenza di un segnale può venire spostata oltre la larghezza di banda prevista per la sua trasmissione. Il problema è ancora peggiore per le frequenze più alte, per questo vengono preferite le frequenze inferiori.

Cocconi e Morrison hanno segnalato la frequenza di 1,420 gigahertz come particolarmente interessante. È la frequenza emessa dall'idrogeno neutro. Spesso i radioastronomi cercano segnali di questa frequenza per poter mappare le nubi di idrogeno interstellare della nostra galassia; trasmettere un segnale di frequenza simile a quella dell'idrogeno aumenta le probabilità che possa venire captato per caso.

Gli entusiasti di SETI chiamano a volte questa frequenza watering hole, ovvero il luogo dell'abbeverata, dove gli animali si incontrano per bere.

(Fonte: Wikipedia, L’enciclopedia libera)

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