Un argomento molto trattato nei blog e nei forum presenti su Internet è legato a una domanda che prima o poi tutti gli aspiranti scrittori che hanno preso coscienza delle problematiche del sistema editoriale italiano finiscono per porsi. La domanda è la seguente: “Deve lo scrittore per vedere finalmente pubblicata e distribuita la sua opera, diventare imprenditore di se stesso, aprire una propria casa editrice e assumere personalmente il rischio imprenditoriale?” La mia risposta è questa: dato che aprire una casa editrice presenta dei costi non indifferenti, e il vero scopo di un’ impresa di questo genere è ottenere dei profitti (o fare quantomeno quadrare i conti) e non quindi pubblicare le opere di un solo autore con il rischio di fallire nel giro di pochi anni, l’ aspirante scrittore non ha motivo di diventare editore di se stesso. Per diventare editori bisogna essere affascinati da questo tipo di professione, e non sceglierla per pubblicare i propri libri. Oggi in Italia la figura dello scrittore editore esiste, i casi degni di nota sono diversi, ciò non toglie però che queste persone hanno deciso di aprire un’impresa editoriale non perché volevano pubblicare le loro opere, ma piuttosto perché avevano un reale interesse verso l’ editoria. Lo scrittore che voglia produrre e distribuire autonomamente i suoi libri può seguire una strada più semplice. Può stampare il proprio libro (con tanto di ISBN) con un servizio di Print On Demand (parlerà di questo tipo di stampa in un altro post) e distribuirlo appoggiandosi a qualche associazione o sito web come ad esempio DANAE nati con lo scopo di far conoscere attraverso varie iniziative spesso legate ad Internet gli scrittori non ancora affermati.
venerdì 23 settembre 2011
Lo scrittore imprenditore
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