Io aderisco a quella corrente di pensiero secondo cui gli scrittori di narrativa dovrebbero cercare di descrivere la realtà del nostro mondo così com’è, lasciando da parte qualsiasi tentativo volto ad attribuire ad essa dei significati particolari. Per chiarire ulteriormente quanto ho appena scritto, riporto uno stralcio del libro di Anton Cechov, Senza Trama e senza finale, pubblicato nel 2002 da minimum fax: “E noi?! Noi rappresentiamo la vita com’è, punto e basta… Più in là non ci farete andare, nemmeno con la frusta. Non abbiamo scopi né immediati né lontani, e nella nostra anima c’è il vuoto assoluto. Non abbiamo concezione politica, non crediamo nella rivoluzione, non abbiamo un Dio, non temiamo i fantasmi e, quanto a me, non temo neppure la morte e la cecità. Chi non vuole non spera e non teme nulla, non può essere un artista. Sia questa una malattia o no, poco importa; bisogna però riconoscere che ci troviamo in una maledetta situazione. Non so che sarà di noi fra dieci o vent’ anni; forse allora le circostanze saranno diverse, ma per adesso sarebbe imprudente aspettarsi da noi qualcosa di buono indipendentemente dal fatto che abbiamo o no talento. Noi scriviamo come macchine, seguendo l’andazzo per cui gli uni servono lo stato, gli altri esercitano il commercio, gli altri ancora scrivono… Voi e Grigovoric trovate ch’io sono intelligente. Si, sono intelligente, lo sono per lo meno tanto da non dissimulare a me stesso la mia malattia, da non mentire a me stesso e nascondere il mio vuoto sotto gli stracci altrui.”
lunedì 19 settembre 2011
Rappresentare oggettivamente la realtà
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